«Il gufo è il mio autoritratto», scrisse una volta Primo Levi. E in effetti con quegli occhiali enormi, i capelli un po' a punta e la barbetta, nell'ultimo periodo della sua vita Levi un po' assomigliava a un gufo. Doveva trovarlo divertente, visto che i gufi ricorrono spesso nella sua opera. Quando sono andato a cercare immagini per il lavoro su Una stella tranquilla ne ho trovati diversi, a partire da quelli che Levi disegnava al computer.
«Non avevo più disegnato dalle elementari - scrisse nell'articolo Lo scriba -, e trovarmi adesso sottomano un servomeccanismo che fabbrica per me, su misura, le immagini che io non so tracciare, e a comando me le stampa anche sotto il naso, mi diverte in misura indecente e mi distoglie da usi più propri. Devo far violenza a me stesso per "uscire" dal programma-disegno e riprendere a scrivere». Quei gufi elaborati su uno dei primi Macintosh finirono sulla copertina di L'altrui mestiere, il libro che raccoglie articoli e mini-saggi e in cui Levi esplorava con tono divertito e curioso tantissimi campi del sapere, dalla lingua alla scienza.
Levi si paragona a un gufo anche quando racconta del periodo in cui scrisse Se questo è un uomo. Era il 1946 e Levi lavorava ad Avigliana, un po' fuori Torino, in una fabbrica di vernici. Scrisse il libro in treno, nelle pause dal lavoro e soprattutto di notte, nella foresteria della fabbrica, dove il suo ticchettare alla macchina da scrivere veniva considerato parecchio strano dai colleghi. «Ero il gufo notturno che batteva alla macchina da scrivere», disse Levi. E per un bel po' di tempo la scrittura di Levi sarebbe rimasta così, un'attività notturna (o almeno serale), a cui si dedicava dopo il lavoro, dopo che aveva "cambiato pelle", passando da chimico a scrittore.
Ma il gufo più importante è un altro, è una specie di maschera. Appartiene a una serie di "sculture" che Levi fabbricava con il filo di rame. Questo era la materia prima del suo lavoro di chimico: il filo di rame infatti è un conduttore elettrico, ma per essere usato deve prima essere trattato con una vernice isolante, quella che appunto si produceva alla Siva, la fabbrica in cui lavorava Levi. Più o meno come succede in molti suoi racconti, anche qui la materia prima è fornita dal lavoro di chimico e dalle esperienze vissute in quella veste per poi trasformarsi in arte, in libri o, in questo caso, in strani manufatti.
C'è una foto in cui Levi "indossa" la maschera da gufo che per me è diventata piuttosto simbolica. Così simbolica che alla fine ho deciso di usarla per la copertina di Una stella tranquilla. Mi sembrava un buon modo per rappresentare la complessità della figura di Primo Levi, e in particolare la differenza tra il Levi pubblico e il Levi privato, tra il Levi a cui abbiamo accesso noi tramite i suoi libri e quello che invece rimane intimo e nascosto.