Giulia Sagramola, ritratto di una fumettista da cucciola


La copertina di Bacio a cinque
(Topipittori, 16 euro)
Per me c'è qualcosa di estremamente familiare nei disegni di Giulia Sagramola. Non saprei dire esattamente cosa, è come se in qualche modo conoscessi già il suo stile e il modo in cui disegna i personaggi. Penso che questo fatto sia legato all'infanzia, forse leggevamo le stesse cose, ci piacevano gli stessi illustratori, ma io non è che ricordi molto di quando ero piccolo. Invece Giulia si ricorda tutto. Ma proprio tutto. Nata a Fabriano nel 1985, fumettista, illustratrice e molto altro, Giulia ha raccontato la sua infanzia, da zero a dieci anni, nel suo primo libro: si chiama Bacio a cinque e inaugura la collana “Gli anni in tasca graphic” della casa editrice Topipittori. Così, in una caldissima giornata d'agosto, prima di partire per le vacanze, sono andato a pranzo a casa sua per farmi raccontare come nasce una fumettista.
Parliamo di Bacio a cinque: possiamo definirlo il tuo primo libro?
Sì, lo sento come primo libro, anche se ho già pubblicato Milk and mint (ProGlo edizioni), un libriccino che raccoglie cose sparse in quattro anni sul mio blog. Forse per questo lo sento meno come libro: Bacio a cinque invece è stato un parto, l'ho avuto in testa per un anno e mezzo.
La cosa che colpisce in questo libro è la memoria ultra-dettagliata che conservi della tua infanzia. Veramente ti ricordi tutto?
Ho parlato tantissimo con i miei genitori. Io sono abbastanza logorroica, e a casa mia è peggio. A pranzo e a cena si sta insieme, si parla, si raccontano aneddoti familiari, “ti ricordi quando Chiara ha fatto quella figuraccia? Ti ricordi quella cavolata che ha fatto Giulia?”. Le cose che ho messo nel libro in casa si sono sempre raccontate. Così quando l'editore mi ha contattato, ho iniziato a scriverle... Poi ho iniziato a ragionare su quello che mi dicevano, a fare domande, a parlare con i miei nonni.
Però è impressionante, ti ricordi tutti i tuoi amici di quando eri bambina!
Ho molta memoria, ma è una memoria trasversale, mi ricordo solo quello che mi pare! Credo che una persona qualunque non si metta così a ricordare tutto dell'infanzia, non so perché a me succede, forse perché mi erano rimaste impresse quelle persone, quegli atteggiamenti. Nel libro magari a volte ho asciugato un po' le vicende più complicate per renderle scorrevoli. Di sicuro il punto di vista è molto soggettivo, e se vai a parlare con gli “amichetti” di cui ho raccontato probabilmente ti diranno cose diverse. Però non ho inventato niente.
La piccola Giulia Sagramola in una scena di Bacio a cinque
Il tuo libro è abbastanza inaspettato, perché di solito gli autori di fumetti in Italia non fanno libri per ragazzi. Mentre disegnavi hai pensato che ti avrebbe letto un pubblico di bambini?
Non si fanno fumetti per bambini perché non c'è mercato: io sono contenta che il libro sia uscito così, però ogni tanto mi piacerebbe vederlo nella sezione fumetti e non solo in quella per bambini. Penso che abbia abbastanza filtro per essere letto da un bambino, ma che sia una lettura adatta anche agli adulti. Alcuni mi hanno scritto perchè si sono ritrovati in quello che ho raccontato, magari perché hanno la mia stessa età. Così, anche se la collana è dedicata ai ragazzi dagli 8 anni in su, disegnando non ho pensato a loro. Il linguaggio l'ho mantenuto abbastanza semplice, come se fosse un diario della mia infanzia, ma in generale è il mio stile che si adatta bene, e probabilmente è per questo che mi hanno chiesto di fare il libro.
Al posto delle tradizionali presentazioni stai facendo un tour di laboratori per bambini. Come funzionano?
All'inizio l'idea era di fare il laboratorio per i bambini prima e la presentazione del libro dopo, invece sta diventando tutto laboratorio. Di solito spiego perché ho fatto questo libro, poi dò delle suggestioni visive, faccio vedere ai bimbi delle pagine del libro, spiego che cosa ho raccontato... gli dò degli input, poi gli insegno delle cose base su come fare un fumetto e ognuno di loro deve pensare a ricordi propri e raccontarli.
Una volta mi hai raccontato una tua teoria...
Oddio, che cosa ho detto?
Ma no, non è proprio una teoria, mi hai detto che secondo te da grandi in fondo facciamo le stesse cose che facevamo da piccoli...
Io facevo storie di principesse, avventure, amore, ladri... adesso faccio autobiografia!
Però da piccola già ti autoproducevi, proprio come adesso (per esempio con Teiera, l'etichetta creata da Giulia insieme a Cristina Spanò)...
Eh, eh... facevo dei libretti per mia sorella, e anche un giornalino, “La voce di noi bambini”. Ma era merito dei miei genitori che sono stati attenti a darmi molti stimoli da piccola. Mia mamma ha studiato pedagogia, mio papà amava il disegno e così mi ha sempre incorraggiato. Lui ha sempre fatto cose manualmente e le proponeva a me: facevamo dei biglietti di Natale per gli amici, un anno aveva scoperto il pop-up e abbiamo fatto biglietti pop-up disegnati da me. In generale i miei non amavano i giocattoli precostruiti: per esempio io non avevo gli album delle figurine, però ogni tanto se ne comprava una. Gli album erano fatti in casa, magari con l'agenda regalata dalla banca: mio padre disegnava le pagine e poi la figurina la completavo io, così avevo la Sirenetta metà disegnata dalla Disney metà disegnata da me. Molto meglio rispetto a un album dove devi solo attaccare!
La dimensione del gioco è evidente anche nelle cose che fai adesso. Le elenco brevemente: fumetti autoprodotti e non, illustrazioni, poster, borsine, spillette e anche dei pupazzi-mostro... ma in tutto ciò tu come ti definisci? Fumettista? Illustratrice? Grafica?
Mi sento molto legata al fumetto, quando mi chiamano illustratrice l'aspirante fumettista dentro di me protesta. Illustratrice va bene nel senso più ampio, usare l'immagine dove serve, non limitarti... le immagini si usano dappertutto per cui viene proprio voglia di dire “proviamo”. I pupazzi per esempio li ho fatti mentre ero in Erasmus a Barcellona, le borsine sono nate da esperimenti di serigrafia con un mio amico di Bergamo. Quello che mi piace di più è quando sperimento delle cose nuove, provando e sbagliando alla fine riesco a farle.
Quindi non sono cose che hai studiato? Però io sapevo che la scuola che hai fatto, l'Isia (Istituto superiore per le industrie artistiche) di Urbino, è molto pratica... che cosa si studia lì?
La scuola è bellissima, mi sembra che ti dia una formazione più completa rispetto alle altre. Fai di tutto, io ho stampato foto, ho fatto cartotecnica, packaging, ma anche un sacco di teoria, storia del libro, della fotografia, della tipografia... tutto. Ci sono tante scuole che insegnano a disegnare, che insegnano le tecniche o la storia del fumetto. Ma non insegnano grafica, io ho fatto anche analisi dei costi (come fare un preventivo tipografico, ad esempio...). Oppure dovevamo fare il prototipo di una collana editoriale. Queste cose chiaramente mi aiutano, però ci si può autoprodurre anche senza sapere niente, l'importante è la voglia di provare e di buttarsi. (La tesi di laurea di Giulia, fra l'altro, è un manuale di auto aiuto per aspiranti autori di fumetti e illustratori, ndr)
Mi racconti come ti sei avvicinata al fumetto?
Ho iniziato ad andare alle fiere del fumetto a 16 anni, facendo vedere delle cose, delle cose orribili! Tipo storie di ragazze punk innamorate! Sono cresciuta con i manga, ma quello che mi ha cambiato è stata la serie Mondo Naif (pubblicata da Kappa Edizioni): era fiction legata alla quotidianità, a cui a un certo punto si incrociava il surreale. Anche adesso per me raccontare il quotidiano è importante a livello narrativo, vorrei che trasparisse che le vite comuni non sono banali.
Come sei arrivata all'autobiografia?
Blankets di Craig Thompson e Pillole Blu di Frederick Peeters sono i due libri che mi hanno portato su questa direzione, insieme a Persepolis di Marjane Satrapi. E nei miei lavori si vede quando sono cambiata: quando ho fatto i primi fumetti con Self Comics, le storie erano di Luca Vanzella, ma i personaggi erano miei, erano tre tipologie della Giulia adolescente. Poi c'è stato un salto quando ho cominciato a tenere un diario sul mio blog. È stato ingenuo e senza prevederlo... mi piaceva l'idea del blog, poi ho iniziato a mettere i disegni: mi ricordo un resoconto di Lucca Comics a fumetti che è stato commentatissimo. Ma non mi rendevo conto che stavo facendo un diario. Me ne sono accorta quando l'anno dopo a Lucca c'era Francesco Cattani che mi prendeva in giro! Mi sono resa conto che la gente leggeva quello che facevo, così ho cominciato ad avere un approccio più attento. Anche se Cattani non ha mai smesso di prendermi in giro.
La copertina di Milk and mint (ProGlo edizioni, 9 euro)
A proposito del blog, sei la persona che conosco più in voga sui social network!
(Ride) Mi piace internet, lo uso in maniera massiccia, da matta! Uso anche social network che non conosce nessuno, e li aggiorno tutti!
Dai, ti pagano per provarli...
Ma magari! In ogni caso senza il sito e il blog non avrei trovato nessun lavoro. Il sito (www.giuliasagramola.it) ce l'ho da quando avevo 19 anni, e piano piano la gente mi ha visto... Internet l'ho usato sempre con piacere perché mi divertiva vedere le possibilità che c'erano, e poi crescendo in provincia è stato il mezzo per scoprire il mondo. L'unica cosa che mi dispiace è che nessuno commenta più sul blog, adesso commentano tutti su Facebook.
Tornando al fumetto, stai lavorando a qualcosa adesso?
Non quanto vorrei, purtroppo. Però ho l'idea per due storie: una è sulla fine dell'adolescenza, l'inizio dell'età adulta, in un'estate torrida in provincia. Non è una storia autobiografica, anche se l'autobiografia mi piace molto: ci sto pensando da due anni e mezzo, ma non ho mai tempo di lavorarci. L'altra storia è solo un'idea: raccontare le scuole medie non dal punto di vista delle vittime, ma da quello dei cattivi.
(© Pietro Scarnera)