Le poesie ritornano negli ultimi anni di Primo Levi, fra il 1984 e il 1987. Non è un caso, perché in questo periodo Levi torna a scrivere di Lager. Fra queste ultime poesie ce n'è una, che non sarà molto importante dal punto di vista letterario, ma che riguarda me, e tutta la generazione dei "nipoti". Si chiama Delega e dice così:
Non spaventarti se il lavoro è molto:
c'è bisogno di te che sei meno stanco.
Poiché hai sensi fini, senti
come sotto i tuoi piedi suona cavo.
Rimedita i nostri errori:
c'è stato pure chi, fra noi,
s'è messo in cerca alla cieca
come un bendato ripeterebbe un profilo,
e chi ha salpato come fanno i corsari,
e chi ha tentato con volontà buona.
Aiuta, insicuro. tenta, benché insicuro,
perché insicuro. Vedi
se puoi reprimere il ribrezzo e la noia
dei nostri dubbi e delle nostre certezze.
Mai siamo stati così ricchi, eppure
viviamo in mezzo a mostri imbalsamati,
ad altri mostri oscenamente vivi.
Non sgomentarti delle macerie
nè del lezzo delle discariche: noi
ne abbiamo sgomberate a mani nude
negli anni in cui avevamo i tuoi anni.
Reggi la corsa, del tuo meglio. Abbiamo
pettinato la chioma alle comete,
decifrato i segreti della genesi,
calpestato la sabbia della luna,
costruito Auschwitz e distrutto Hiroshima.
Vedi: non siamo rimasti inerti.
Sobbarcati, perplesso;
non chiamarci maestri.
24 giugno 1986.
Meno di un anno dopo, Primo Levi muore nella sua casa di Torino.